Capitolo 3
Storia di un mistero da svelare nel cuore del Pacifico, nell’Arcipelago delle isole Tuamotu.
Immaginate un’immersione nel blu, il blu limpido e profondo dell’Oceano Pacifico. Questo blu si estende a perdita d’occhio, o meglio per 700 metri. Mentre il rombo del motore si affievolisce, non percepite più alcun suono. La sensazione di oscillazione provocata dal moto ondoso diminuisce man mano che iniziate la discesa. I punti di riferimento in superficie si perdono nel blu cristallino, che vi assorbe, vi confonde. Non ve ne accorgete, ma la corrente in entrata vi sta trasportando alla deriva verso un passo ancora invisibile. La sommità di un vulcano antico si avvicina, 400 m, 300 m, poi appena 200 m sotto le vostre pinne. Non riuscite ancora a vedere nulla. I primi pesci appaiono in lontananza, segno di un arrivo imminente. All’improvviso, il blu ininterrotto lascia spazio a una serie di forme. Davanti ai vostri occhi appaiono alcuni solchi bianchi e una sorta di gradino. È l’ingresso del passo di Tiputa, nell’atollo di Rangiroa, e vi state dirigendo verso il famoso “Altopiano dei martelli”.
A 55 metri, toccate il fondo. Quello che state contemplando, non è più un pendio vertiginoso verso gli abissi dell’altopiano oceanico, bensì un paesaggio piatto, desolato, lunare e monotono. Inizia l’attesa. La corrente si avverte appena e vi spostate lentamente, con movimenti leggeri delle pinne. Girate su voi stessi, cercate, scrutate l’orizzonte. Un banco di Carangoides ferdau e qualche Gymnosarda unicolor di passaggio turbano la tranquillità di questi luoghi. All’improvviso si percepisce un’atmosfera elettrica, sta succedendo qualcosa intorno a voi, ma non sapete cosa. Non ancora. Poi, appare in lontananza l’ombra di una grande pinna dorsale. Il profilo massiccio in mezzo ad alcuni squali grigi in fuga non lascia dubbi sulla natura dell’animale che si sta avvicinando. È arrivato uno squalo martello maggiore.
Ha percepito la vostra presenza già da un po’ e la sua curiosità lo sta portando dritto verso di voi. Vi pervade una sensazione di sollievo ed eccitazione: l’interazione sta per avvenire. Oggi siete testimoni privilegiati della sua presenza nel passo, quindi il lavoro può iniziare. Pochi metri prima di voi, lui devia, tranquillamente. O meglio, LEI devia: si tratta di una femmina. Prestate la massima attenzione, l’incontro non durerà a lungo. Scrutate il suo corpo in cerca di ogni possibile indizio, individuando macchie, solchi ed escrescenze visibili. Le sue pinne sono segnate, sicuramente è la conseguenza di precedenti accoppiamenti. Ebbene sì, l’amore tra gli squali è crudele. Memorizzate tutte queste informazioni nella vostra mente mentre la femmina si allontana. Questi segni saranno essenziali per identificarla quando tornerete in superficie. L’incontro è durato al massimo trenta secondi, ma il semplice fatto che sia avvenuto la dice lunga. Vi girate per continuare le ricerche. Tutto accade molto velocemente: si sta già avvicinando un nuovo esemplare femmina. Come la precedente, una volta arrivata di fronte a voi devia dalla sua traiettoria per presentarvi il fianco. Non ha segni particolari, i contorni sono lisci e uniformi, come un disegno stilizzato fatto per rappresentare la specie. La guardate passare, impotenti, non è identificabile e tanto meno riconoscibile. Dietro di lei, una terza femmina rimane a distanza; la seguite con lo sguardo, ma non si avvicina. La osservate scomparire nel blu, forse era la prima femmina che avevate avvistato.
La tensione si allenta. Rimanete fermi, temendo di perdere un altro avvistamento. Il vostro sguardo scandaglia meticolosamente il paesaggio, a tal punto che ipotizzate, percepite e immaginate delle sagome intorno a voi. Ma non c’è nulla. Poi, compare una forma molto reale, questa volta nel vostro campo visivo. Una femmina, più robusta delle altre, si avvicina e ripete lo stesso balletto delle precedenti. Ma questa la riconoscete. Sì, la morfologia della pinna caudale e il solco sulla pinna sono inconfondibili: questa femmina è già stata osservata qui in passato. La sua presenza oggi, dopo tutti questi anni, ha qualcosa di miracoloso e merita rispetto. Con umiltà, la guardate allontanarsi e poi scomparire sotto il gradino. Il passo si rianima e i pesci ricompaiono. O forse prima eravate troppo assorti per vederli. Il computer subacqueo vi richiama all’ordine, è già ora di iniziare la risalita. Lasciando questo altopiano, non potete fare a meno di chiedervi: dov’è stata questa femmina per tutto questo tempo? Quali percorsi ha compiuto? Ma soprattutto, perché è tornata?
Questa immersione nel passo di Tiputa racconta la presenza misteriosa di un predatore leggendario dei nostri oceani: lo squalo martello maggiore, il cui nome scientifico è Sphyrna mokarran. Nell’immaginario collettivo, è la sua famiglia (gli Sphyrnidae) a essere leggendaria, con dieci specie di squalo martello censite attualmente. Come suggerito dal nome, lo squalo martello maggiore è il più grande di tutti, con una lunghezza media di 3,5 metri e in grado di raggiungere 6,1 metri. Malgrado la sua imponenza, non rappresenta una reale minaccia per l’uomo e solo raramente ha compiuto attacchi. Come tutti gli squali, la sua posizione in cima alla catena alimentare lo rende essenziale per l’equilibrio degli ecosistemi marini. Originariamente presente in tutte le acque tropicali e subtropicali del globo, questo grande squalo è ormai raro. In 70 anni, la sua popolazione è diminuita dell’80% a livello mondiale. Nel 2018, la IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura)1, l’ha classificato come “In pericolo critico” nella lista rossa delle specie minacciate. Si tratta dell’ultima categoria prima che venga considerata “Estinta in ambiente selvatico”. Ma in alcune parti del mondo la sua estinzione è già avvenuta. Oggi, si stima che la popolazione dei grandi squali martello, un tempo ampiamente presente nel Mar Mediterraneo, sia diminuita del 99,9%. È una lotta contro il tempo.
Le ragioni di questa scomparsa sono molteplici e legate essenzialmente alle attività umane. Come per tutte le specie di squali del mondo, la pesca mirata e metodica per prelevarne le pinne è una delle cause principali. Le pinne di squalo, le cui proprietà terapeutiche non sono mai state provate scientificamente, hanno un valore economico elevato nel mercato asiatico e vengono utilizzate sia per il consumo alimentare che per la farmacopea. La cattura accessoria, cioè la cattura accidentale di un animale che in origine non si intendeva prendere di mira, sono un’altra ragione più insidiosa del suo declino, ma altrettanto devastante. Molti squali, tra cui lo squalo martello maggiore, finiscono così nelle reti e lenze usate per la pesca del tonno e di altre specie commerciali. Infine, anche se questa pratica potrebbe sembrare superata, le dimensioni dello squalo martello lo rendono un trofeo ambito nella pesca sportiva, che viene ancora praticata, in particolare negli Stati Uniti e in Australia. Anche se l’animale talvolta viene rilasciato vivo, lo stress e lo sfinimento causati dalla cattura ne aumentano la vulnerabilità e finiscono per condurlo alla morte.
Così, diversamente da altre specie di squali più robuste, malgrado le sue dimensioni lo squalo martello maggiore è una specie fragile. Se a tutto ciò si aggiunge un ciclo di vita lento, è facile capire perché le sue popolazioni non sono in grado di rigenerarsi: gli individui si riproducono solo tardivamente (intorno agli 8 anni), con un periodo di gestazione più lungo di quello degli esseri umani (tra 10 e 11 mesi), che avviene solo ogni due anni, e con un numero di giovani minore rispetto ad altre specie marine (15 in media, solo pochi dei quali raggiungono l’età adulta).
1 Questa organizzazione internazionale determina lo stato di conservazione di tutte le specie viventi e valuta il loro rischio di estinzione, dividendole in diverse categorie: Minor preoccupazione, Quasi minacciata, Vulnerabile, In pericolo, In pericolo critico, Estinta in ambiente selvatico o Estinta.
Lontano da queste scoperte scientifiche, una regione sperduta e isolata nel cuore del Pacifico ospitava segretamente una popolazione di squali martello maggiori: l’arcipelago delle isole Tuamotu, nella Polinesia francese. La presenza dello squalo martello maggiore in Polinesia è discreta, nota alla memoria ma dimenticata dalle leggende. La lingua Pa’umotu, il dialetto delle Tuamotu, offre un indizio sulla presenza storica dell’animale in questo arcipelago, a nord di Tahiti. Già nel 1929, le parole di F. Hervé, amministratore delle isole Tuamotu, rivelano che “squalo martello” nella lingua locale si dice Tamataroa e lo descrive così: “Grigio pallido uniforme, testa appiattita, sembra molto raro e vive in mare aperto. Dimensioni molto grandi, 3 braccia” (circa 5,5 m). Il concetto di rarità presente in questi primi resoconti è curioso, poiché quando oggi si chiede ad alcuni anziani Pa’umotu (abitanti delle isole Tuamotu), le risposte sono pressoché unanimi: il Tamataroa è sempre stato avvistato nelle loro acque.
Nel 1984, quando Yves Lefèvre, istruttore subacqueo e cameraman, arriva nell’atollo di Rangiroa, nella zona occidentale dell’arcipelago delle isole Tuamotu, è il primo ad attirare l’attenzione dei pochi turisti di passaggio sulla notevole presenza della specie nel passo di Tiputa. Questo passo, e quello vicino di Avatoru, sono due corridoi di scambio tra l’oceano e la laguna, perennemente soggetti a correnti alternate verso l’interno e verso l’esterno. Ogni volta che la marea si alza e si abbassa, la laguna si riempie e si svuota attraverso questi passi. È il sistema di respirazione degli atolli. I polinesiani più coraggiosi pescano in queste valli sommerse, in cui l’unico momento di tregua, quando le due correnti si compensano e si annullano a vicenda, dura solo pochi minuti. Yves Lefèvre, utilizzando una bombola da sub, fu il primo subacqueo a esplorare i due passi di Rangiroa a profondità che i pescatori locali, pur essendo ottimi apneisti, non erano in grado di raggiungere. Fu così che individuò un altopiano profondo all’esterno del passo di Tiputa, a una profondità compresa tra 45 e 60 metri, in cui gli squali martello maggiori, pur essendo solitari per natura, venivano osservati in gran numero durante l’estate australe, da dicembre a marzo. Oltre allo squalo martello maggiore, l’eccezionale concentrazione di pesci, aquile di mare, mante giganti, delfini e squali, rese Rangiroa una destinazione subacquea leggendaria a livello mondiale.
Con il tempo, in particolare dopo il passaggio del Capitano Cousteau nel 1987, in questo luogo si sviluppò notevolmente un turismo di esperti. L’osservazione degli squali diventò quindi una delle principali attività turistiche in Polinesia e l’attività di “shark-feeding” crebbe rapidamente all’inizio degli anni ‘90. Nel 2006, la Polinesia approvò una legge che vietava, nelle sue acque marine, qualsiasi forma di pesca agli squali. Fu una misura pionieristica, adottata in seguito da molti paesi del Pacifico. La misura fu così efficace che attualmente la Polinesia è classificata come uno dei luoghi con la maggiore presenza e varietà di squali al mondo. La Polinesia ebbe nuovamente il ruolo di precursore nel 2017, quando vietò l’alimentazione della fauna selvatica per scopi turistici. Le attività di “shark-feeding” furono quindi interrotte, portando talvolta alla scomparsa degli squali da alcuni siti di osservazione.
Ma il passo di Tiputa fu risparmiato da questo fenomeno. L’elevata concentrazione di squali e la presenza stagionale dello squalo martello maggiore rimasero immutate. Le prospettive di ricerca offerte da questo sito superavano ampiamente quelle esistenti in qualsiasi altra parte del mondo. Per la prima volta dall’inizio del secolo, questi squali venivano osservati con comportamenti naturali (e non con metodi artificiali, alimentandoli) e nel loro habitat naturale. L’interesse di uno studio sullo squalo martello maggiore nel Pacifico centrale divenne quindi evidente, soprattutto perché già dagli anni 2000 la IUCN aveva evidenziato una grave carenza di dati scientifici su questo animale nella regione.
Malgrado la possibilità di raccogliere nuovi dati, l’utilità di uno studio in un luogo in cui la specie è già protetta può porre degli interrogativi. Per capirlo meglio, dobbiamo tornare al 2006, quando in Polinesia furono introdotte le misure di protezione degli squali. All’epoca non era stato condotto alcuno studio preliminare per valutare la quantità di squali o per comprenderne l’ecologia. Eppure, queste nozioni rivestono un’importanza decisiva per poter applicare le misure in modo efficace. Durante il loro sviluppo, gli squali devono soddisfare tre esigenze principali: proteggersi dai predatori, nutrirsi per poter crescere e riprodursi per garantire la sopravvivenza della specie. Questi animali cercano costantemente un compromesso tra la variabilità dell’ambiente e il soddisfacimento dei loro bisogni vitali. Per questo motivo cambiano habitat in base al loro stadio di sviluppo. La riproduzione, il parto, la crescita dei giovani e le esigenze di alimentazione associate a ognuno di questi stadi avvengono in aree e momenti specifici, in cui le condizioni ambientali sono più favorevoli. Si tratta dei cosiddetti habitat critici. Senza la conoscenza della natura, della posizione e del periodo di utilizzo di questi habitat chiave, i rischi di degrado causati dalle attività umane aumentano. Benché indispensabile, il divieto di pesca degli squali in Polinesia non garantisce di per sé la loro conservazione a lungo termine.
These animals are constantly seeking a compromise between the variability of the environment and the fulfilment of their vital needs. They therefore change habitats according to their stage of development. Reproduction, birth, the growth of juveniles and the feeding requirements associated with each of these stages take place in very specific areas and at very specific times, where environmental conditions are the most favourable. These are known as critical habitats. Without knowledge of the nature, location and period of use of these key habitats, the risks of degradation caused by human activities increase. Although essential, the ban on shark fishing in Polynesia does not in itself guarantee their long-term conservation.
Un’altra sfida nello studio dello squalo martello maggiore in Polinesia è quella di stabilire l’entità delle sue migrazioni nel Pacifico centrale. Essendo una specie migratoria, i suoi spostamenti potrebbero portarla oltre l’area marina della Polinesia, in cui il divieto di pesca non è più applicabile, per cui questi animali tornano a essere il bersaglio diretto o indiretto della pesca internazionale. Una sfida ancora più complessa se si considera la forte pressione che li attende, a livello di pesca, al di fuori del territorio polinesiano. In caso di migrazioni al di fuori della Polinesia, per arginare il declino della specie, sono necessari accordi internazionali, spesso difficili da raggiungere a causa della pluralità di soggetti e interessi in gioco.
Nel 2008, fu organizzato un primo progetto scientifico per comprendere i movimenti degli squali martello maggiori nel passo di Tiputa, con l’installazione di apparecchiature di monitoraggio. Tuttavia, sfortunatamente, le condizioni di correnti estreme vanificarono il progetto, causando la perdita di tutte le apparecchiature installate. Solo nel giugno del 2019, anche grazie al sostegno del Blancpain Ocean Commitment, la Mokarran Protection Society può avviare la prima ricerca sulla popolazione presente nel passo di Tiputa.
Tutto parte dall’iniziativa di tre istruttori subacquei di Rangiroa. Incuriositi e stupiti nell’osservare ogni anno la presenza stagionale della specie a Tiputa e desiderosi di comprenderne le ragioni, avviano un lavoro di ricerca bibliografica. Si rendono subito conto che in quest’area del Pacifico ci sono pochi dati sull’argomento. Intuendo il grande potenziale del sito, dal 2014 iniziano a raccogliere le loro osservazioni, cercando di distinguere gli individui in base alle dimensioni e alla pigmentazione. Dopo due anni, ipotizzano che nella zona del passo vivano stagionalmente nel sito, e vi tornino ogni anno, una decina di squali martello maggiori. Queste osservazioni coincidono anche con l’arrivo delle aquile di mare maculate. Nessuno studio può ancora confermarlo, ma l’estate australe sembra essere la stagione degli amori per queste aquile di mare, che si riuniscono in banchi nel passo, con un numero di individui che può arrivare a 150 negli “anni migliori”. Questi raggruppamenti aumenterebbero quindi la concentrazione e la varietà di prede dello squalo martello maggiore; non dimentichiamo infatti gli squali grigi, presenti tutto l’anno nel passo e anch’essi possibili prede. Sulla base di queste prime ipotesi, uno di questi istruttori, Jean-Marie Jeandel, riunisce un gruppo di subacquei amatoriali e di scienziati volontari intorno a un obiettivo ambizioso: svelare il mistero della presenza stagionale dello squalo martello maggiore nel passo di Tiputa a Rangiroa. A giugno 2019 nasce così la Mokarran Protection Society (MPS).
È l’incontro con Marc A. Hayek, amante del mondo marino e subacqueo di lunga data, a trasformare il sogno in realtà. Impegnata da 20 anni nella conservazione degli oceani, Blancpain è colpita dalle reali prospettive di conservazione che questa iniziativa lascia intravedere. Così, nel dicembre 2019, la Manufacture sostiene e lancia la prima missione della MPS dedicata allo studio dello squalo martello maggiore in Polinesia, alla quale partecipa anche Marc A. Hayek, come subacqueo tecnico e cameraman.
Ma da dove iniziare? L’obiettivo scientifico iniziale è tanto semplice quanto considerevole. Si tratta di descrivere la popolazione presente durante l’estate australe, la stagione principale in cui si osserva la presenza degli squali martello maggiori. Descrivere questa popolazione significa in primo luogo valutarne la grandezza, identificando il numero di squali incontrati. Ma significa anche osservare il rapporto maschi-femmine e la capacità riproduttiva degli individui. Infine, significa cercare di determinare per quanto tempo questi individui rimangono nel sito. Si tratta di una tappa su una rotta migratoria più lunga oppure sono diventati sedentari e, in tal caso, per quanto tempo? Ritornano nel sito più avanti nel loro ciclo di vita e, se sì, cosa cercano? Sono tutte domande alle quali non è ancora possibile rispondere con certezza, in un luogo in cui le condizioni di immersione rappresentano un’autentica sfida. Il sito è profondo, esposto a forti correnti e il fondale, una lastra scura e liscia, tende a mimetizzare gli animali.
Per svolgere questa attività, la MPS ha deciso di affidarsi all’uso combinato di due metodi non intrusivi: la fotogrammetria laser e la foto-identificazione. La fotogrammetria laser ha il vantaggio di poter misurare l’animale sott’acqua. Queste misurazioni forniscono informazioni sullo stadio di maturità dell’animale, poiché oltre una certa dimensione (2,1 m per le femmine e 2,25 m per i maschi) è molto probabile che gli squali siano in grado di riprodursi.
La foto-identificazione permette invece di fotografare gli individui per identificarne le caratteristiche specifiche, semplicemente osservandoli nel loro ambiente. Oltre al passo di Tiputa, l’attenzione è rivolta anche a Tikehau, un altro atollo delle isole Tuamotu situato 15 km a ovest di Rangiroa. Qui si trova il passo di Tuheiava, che diventa così il secondo sito utile per l’osservazione dello squalo martello maggiore. L’obiettivo del monitoraggio simultaneo sui due atolli è quello di delineare un primo eventuale andamento migratorio tra Rangiroa e Tikehau. Per tre stagioni, tra dicembre 2019 e marzo 2022, vengono quindi organizzate regolarmente immersioni dedicate all’applicazione di questi protocolli.
I risultati non saranno deludenti. In totale, i team della MPS effettuano più di 400 immersioni, durante le quali osservano oltre 500 squali martello maggiori. Contrariamente a quanto ipotizzato inizialmente, nel corso di queste tre stagioni estive, nei passi di Tiputa e Tuheiava, vengono identificati non una decina bensì oltre 70 esemplari, tutte femmine e potenzialmente mature. Più della metà di loro mostra una presenza stagionale, con una permanenza media di due mesi nel sito di studio. In seguito, una serie di immagini di archivio aggiuntive fornite dai subacquei, rivela che la metà delle femmine identificate è fedele ai siti di Tiputa e Tuheiava. Una di esse tornerà a Tiputa per quasi 14 anni! Oltre all’ipotesi che tornino annualmente per scopi esclusivamente alimentari, come nel caso delle Bahamas, l’osservazione di femmine mature nei siti durante l’estate australe lascia presagire altre ragioni della loro presenza. In tutte queste scoperte emerge la domanda: dove sono i maschi? Le immagini di archivio raccolte dal 2006 nel passo di Tiputa chiariscono il mistero: i maschi vengono osservati esclusivamente da agosto a ottobre. Una missione collegata al progetto e condotta da agosto a novembre 2021 da un team della MPS conferma questa tendenza. I maschi vengono osservati in primavera e le femmine in estate, ad ognuno la propria stagione. Resta da definire qual è il loro itinerario durante il resto dell’anno. Le osservazioni effettuate nei passi confermano chiaramente che gli individui entrano ed escono dalle lagune, ma per quale motivo? Tentando di rispondere a questa domanda, l’associazione si affida a una rete partecipativa di osservatori ed effettua interviste a un centinaio di persone attive nella laguna di Rangiroa (pescatori e fornitori di servizi turistici), raccogliendone le testimonianze. La conoscenza empirica di questo vasto mare interno, da cui dipende la loro sussistenza, permette di identificare zone potenzialmente strategiche nel ciclo di vita della specie.
Grazie a questi tre anni di studi, la MPS è stata in grado di fornire i primi risultati rilevanti sullo Sphyrna mokarran nel Pacifico centrale. In seguito a questi lavori, la Polinesia ha deciso di inserire lo squalo martello maggiore nell’elenco delle “Specie marine emblematiche del Pacifico”, rendendo il suo studio approfondito una priorità del territorio.
Quando la MPS inizia le sue attività nel 2019, si propone di attuare un protocollo di monitoraggio meno invasivo possibile. Per non alterare il comportamento naturale dello squalo martello maggiore, l’associazione decide di non utilizzare più le pratiche usate comunemente per attirare gli squali: il “feeding”, con cui l’esca viene mangiata dall’animale, o lo “smelling”, con cui l’esca attira il predatore con l’odore ma non viene mangiata. Per conoscere la struttura della popolazione presente, la MPS sceglie di utilizzare la fotogrammetria laser. Questo metodo permette di misurare gli squali a distanza, nel loro ambiente naturale, senza doverli catturare per misurarli a bordo della barca. Lo strumento è costituito da un supporto con due laser montati parallelamente sui lati, a 30 cm di distanza l’uno dall’altro. Una fotocamera posizionata al centro dei laser acquisisce un’immagine con una scala proiettata sull’animale. È quindi possibile effettuare diverse misurazioni, come l’altezza della pinna dorsale, la larghezza della testa o la lunghezza totale del corpo. Questa tecnica ha un duplice scopo. Acquisendo le immagini, permette di identificare l’animale anche grazie alle caratteristiche fisiche specifiche di ogni individuo, come la morfologia delle pinne e la presenza di macchie sul corpo. In questo modo, è possibile stilare una carta d’identità dello squalo.
Le scoperte della MPS hanno chiarito una parte degli enigmi sulla struttura della popolazione dello squalo martello maggiore nelle isole Tuamotu. Ma questi primi risultati sollevano anche nuove domande sull’ecologia della specie in questa zona: perché le femmine si riuniscono nei passi durante l’estate australe? Cosa fanno gli individui che entrano nelle lagune e dove vanno quelli che ne escono? Per rispondere a queste domande e dare maggiore impulso scientifico e tecnico ai lavori già realizzati, è nato un nuovo progetto, lanciato a dicembre 2022 con il sostegno della Manufacture Blancpain. Il suo nome è TAMATAROA. Questo programma di ricerca ambizioso e innovativo, che durerà altri tre anni, si deve alla collaborazione fra due realtà: la Mokarran Protection Society, che possiede una profonda conoscenza del territorio e un radicamento locale di lunga data, e le spedizioni Gombessa, dirette da Laurent Ballesta, riconosciute a livello internazionale per il livello di competenze tecniche e scientifiche. Fin dall’inizio, il progetto ha coinvolto anche un gruppo di sog- getti pubblici, tra cui il Comune di Rangiroa, la Direzione per l’Ambiente della Polinesia e l’Ufficio francese per la biodiversità. L’obiettivo di TAMATAROA è concreto e praticabile: definire gli spostamenti e gli andamenti migratori dello squalo martello maggiore in Polinesia, per determinare la posizione e l’uso temporale dei suoi habitat principali nel Pacifico centrale. L’ambizione è essere in grado di fornire agli enti dati concreti, che permettano di sostenere l’attuazione di misure di conservazione specifiche per la specie e adatte al suo ciclo di vita. Inoltre, grazie a un effetto a cascata, queste misure destinate a un predatore al vertice della catena alimentare potrebbero avere un impatto favorevole più ampio sulla protezione degli ecosistemi lagunari.
Per identificare gli habitat chiave e comprendere le attività dello squalo martello maggiore in Polinesia, è fondamentale studiarne gli spostamenti nei passi, nelle lagune e fra gli atolli. Per questo motivo è necessario effettuare la marcatura degli animali, vale a dire applicare dei microchip sui corpi, in modo da poterli tracciare. In linea con il lavoro intrapreso dalla MPS, per attuare i vari protocolli si sta privilegiando un approccio etico e ponderato. Un’impresa tutt’altro che agevole dal momento che si ha a che fare con un animale certamente curioso, ma anche schivo e che deve essere attirato senza ricorrere alle pratiche del “feeding” o dello “smelling”. Per ottimizzare il tempo di interazione con l’animale, è stato progettato un nuovo strumento scientifico completo e utilizzabile sott’acqua, in grado di eseguire un’ampia gamma di protocolli: identificazione, misurazione, marcatura e prelievo di campioni. L’identificazione e la misurazione sono in linea con i protocolli definiti dalla MPS per caratterizzare la popolazione. Il prelievo dei tessuti consente di effettuare uno studio genetico, necessario per stabilire i legami tra le varie popolazioni e la relazione esistente tra gli individui osservati. Con questi campioni è anche possibile studiare l’ecologia alimentare della specie, per valutare l’origine e l’importanza relativa delle varie zone di alimentazione nel suo regime alimentare.
TAMATAROA si basa sul coinvolgimento dei soggetti locali nel programma scientifico. Trattandosi di una risorsa peculiare del loro oceano e delle loro lagune, il successo a lungo termine del progetto è possibile solo se i polinesiani se ne appropriano, trasformandosi ogni giorno nei custodi consapevoli di questo grande predatore. Diversamente dalle società occidentali, i polinesiani sono stati in grado di preservare i saperi e le conoscenze empiriche per la gestione delle risorse marine. Ne è un esempio il Rahui, una tecnica utilizzata per conservare le risorse ittiche mediante una rotazione delle zone sfruttate. Tramandata di generazione in generazione, questa pratica è ancora ampiamente diffusa negli atolli e nelle isole del territorio. Il concetto di area marina protetta è quindi radicato culturalmente e molte leggende e credenze polinesiane riconoscono agli squali il ruolo di protettori, che rappresentano la reincarnazione degli antenati all’interno della discendenza familiare. Questa spiritualità di “animale totemico” contribuisce in parte alla conservazione degli squali in Polinesia, favorendo il rispetto per la vita animale. Grazie al sostegno dei polinesiani, le prospettive di successo a lungo termine del progetto sembrano quindi promettenti.
Gli atolli, queste oasi di vita nel cuore dell’immenso Oceano Pacifico, non hanno ancora rivelato il ruolo che svolgono nel ciclo di vita dello squalo martello maggiore: ultimi rifugi o tappe migratorie, santuari o scali. Il lavoro che resta da fare è colossale, ma lo è anche la speranza che suscita per questa specie, a rischio di estinzione in tutto il mondo. Risolvendo questo mistero, possiamo sperare di vincere una battaglia nella grande guerra contro l’erosione della biodiversità marina. Ma possiamo anche sperare nella rinascita di un futuro prospero per il Tamataroa.
ROBERT “BOB” MALOUBIER
Fondatore del corpo di sommozzatori da combattimento francese
LAURENT BALLESTA
Scienziato, subacqueo, fotografo,
fondatore e capo delle spedizioni Gombessa