Capitolo 6
L’ascesa di Anne-Sophie Pic fino alla conquista delle tre stelle Michelin dimostra che non manca certo di carattere e di coraggio.
Quando Julia Child, amatissima icona della cucina internazionale per diversi decenni, era ancora in vita, era solita dire che in cucina ci vuole coraggio. Si rimproverava spesso, ma senza mai perdere il suo buon umore, convinta che gran parte di quanto le era capitato all’epoca della televisione “live”, o quando le cose andavano storte (cosa tutt’altro che rara davanti alle telecamere) fosse dipeso dal non aver avuto il coraggio di portare avanti le sue convinzioni. A conferma di quanto Julia Child affermava a proposito dell’importanza del coraggio per ottenere grandi risultati in cucina, ripercorriamo la storia dell’ascesa di Anne-Sophie Pic ai vertici della cucina francese.
Lo storico ristorante a Valence appartiene alla sua famiglia da diverse generazioni, tre delle quali insignite con le tre stelle, massimo riconoscimento conferito dalla Guida Michelin. A parte questo, la storia della famiglia ha conosciuto alti e bassi nel passaggio del ristorante da una generazione all’altra.
Tutto inizia nel 1889, quando la bisnonna di Anne-Sophie apre l’Auberge du Pin sulle alture di St-Péray nell’Ardèche. Nel 1934, suo figlio André (1893-1984), il nonno di Anne-Sophie, trasferisce il ristorante a Valence in Avenue Victor-Hugo, non lontano dalla famosa Route Nationale 7, nota anche come Route du Soleil (Autostrada del Sole), che collega Parigi al Mediterraneo. Ad eccezione dei giorni rouge, in cui il traffico frenetico sconvolge le strade all’inizio e alla fine del periodo delle vacanze estive, oggigiorno viaggiare verso il sud non rappresenta più una grande avventura. Tuttavia, prima della costruzione delle moderne autostrade, il viaggio lungo questa strada era così estenuante che una tappa gastronomica era d’obbligo, specialmente nel caso di viaggi di più giorni. Grazie alla sua posizione strategica a Valence, a sud di Lione, l’hotel-ristorante di André Pic prosperò fino a diventare uno dei relais più famosi lungo questo leggendario percorso, analogamente a quelli di Alexandre Dumaine a Saulieu e di Fernand Point a Vienne. Il primo a conquistare le tre stelle Michelin, nel 1934, fu André Pic, figlio dei fondatori del ristorante e nonno di Anne-Sophie. Dopo la guerra tuttavia, nonostante gli sforzi, una stella fu persa nel 1946 e una seconda nel 1950. Il figlio di André, Jacques, che in un primo tempo non si considerava uno chef, iniziò a lavorare come meccanico, ma presto decise di restituire al ristorante la sua reputazione, riconquistando la seconda stella nel 1959 e la terza nel 1973.
Anne-Sophie Pic crebbe in un mondo gastronomico elitario dove erano banditi i dolcetti e i biscotti commerciali, tutto ciò che sapeva di produzione industriale. Era abituata ai pasti squisiti preparati in famiglia, alle irruzioni nella dispensa del ristorante del padre Jacques, dalle quali tornava con foie gras, tartufi, caviale e altre prelibatezze. Tuttavia, questo non la spingeva a pensare al ristorante per la sua carriera. Tutt’altro. Vivendo nel posto in cui oggi si trova il negozio di delicatessen, la vita legata al ristorante le sembrava troppo opprimente. Era attratta invece dal business, ragion per cui partì alla volta di Parigi, dove frequentò l’Institut Supérieur de Gestion (ISG) ed in seguito andò in Giappone e negli Stati Uniti per degli stage.
Gli anni in cui Anne-Sophie fu lontana da Valence le permisero di capire che cosa le piaceva veramente e che cosa voleva fare. Ritornò in cucina, accanto a suo padre. Ma la tragedia era in agguato: meno di tre mesi dopo Jacques morì all’improvviso d’infarto. Toccò quindi ad Anne-Sophie e a suo fratello prendere le redini dell’attività. Forte degli anni trascorsi negli affari, decise di occuparsi dell’accoglienza alla clientela, mentre Alain si dedicava alla cucina. Dopo due anni, venne persa la fatidica terza stella Michelin, e Anne-Sophie si decise a cambiare ruolo e ad assumere il comando della cucina, determinata a riconquistare le tre stelle.
I francesi usano il termine particolare transmission per descrivere il passaggio del controllo di un ristorante da uno chef all’altro. Di norma, la trasmissione all’interno di una stessa famiglia è pianificata con largo anticipo, e presuppone un’accurata formazione e un duro lavoro per facilitare il cambio della guardia. Spesso, il passaggio si rivela molto arduo. La tensione cresce per le critiche provenienti dagli addetti ai lavori e dai clienti, sempre attenti a captare anche il più piccolo passo falso. Se la trasmissione può essere problematica anche con la migliore programmazione, è facile immaginare quali difficoltà dovette affrontare Anne-Sophie. Non aveva esperienze in altri ristoranti, non aveva mai collaborato con grandi chef. La sua formazione in cucina a fianco del padre era durata meno di tre mesi. Solo un’assoluta fiducia in se stessa e un’incrollabile determinazione potevano farle vincere le sfide che dovette affrontare quando prese il comando. Il commento di Julia Child sul coraggio in cucina sembra poca cosa, commisurato con gli ostacoli affrontati da Anne-Sophie.
Nonostante ciò, Anne-Sophie aveva ben chiaro cosa fosse la cucina di qualità. L’essere cresciuta nel ristorante paterno le aveva fatto toccare con mano quali elementi distinguono un ristorante con tre stelle Michelin. Inoltre, poteva contare sulla presenza di un gruppo di collaboratori esperti, che non mancava di riconoscere. Dato che il padre aveva stretto forti rapporti con altri personaggi di rilievo del mondo culinario francese, Anne-Sophie disponeva anche dell’aiuto di una rete di conoscenze. Lo chef Marc Haeberlin, del leggendario Auberge de l’Ill in Alsazia, parla con affetto delle sue telefonate con Anne-Sophie, alla quale offriva i suoi consigli in quel primo periodo.
Lo sforzo per ridare prestigio al ristorante si protrasse per un decennio, fino a quando finalmente, nel 2007, la terza stella Michelin tornò a brillare a Valence, dove splende tuttora.
Ciò non significa che questi dieci anni siano stati dedicati a ricreare integralmente la cucina del padre. Mentre Jacques Pic aveva rivoluzionato il ristorante ereditato da suo padre André, passando dalla preparazione di molti piatti e di porzioni abbondanti ad un menù più moderno, articolato su porzioni contenute ed eleganti impiattate in cucina, Anne-Sophie si è adeguata ai suoi tempi. Anche se nel menù continuano a figurare molti dei piatti classici di Jacques Pic, come il suo sublime bar de ligne au caviar, e persino una preparazione dell’epoca di André Pic, il gratin d’écrevisses, Anne-Sophie ha rivoluzionato gran parte del menù. Il nonno e il padre erano entrambi rimasti rigorosamente fedeli alle salse classiche della cucina francese. Di certo, le salse sono e restano la gloria della cucina francese, ma Anne-Sophie ha lavorato a fondo sui passaggi più adatti per ottenere un’analoga intensità di sapore, senza però la pesantezza del burro e della panna. Definisce il suo modo di lavorare “femminile”, ma questa etichetta non sarebbe adeguata per gli uomini chef che hanno alleggerito la loro cucina. Indipendentemente dal fatto se l’aggettivo giusto sia “femminile” (forse “contemporanea” potrebbe rappresentare una valida alternativa) la ricerca di Anne-Sophie puntava alla leggerezza, senza rinunciare al sapore.
Parte della risposta arrivò dal suo viaggio in Giappone. Un elemento imprescindibile della cucina giapponese è il dashi, una salsa salata a base di kombu (alghe fermentate) e tonno bonito essiccato. Analogamente ai cuochi giapponesi d’avanguardia, Anne-Sophie combina un classico dashi con altri componenti aromatici. Infatti, il suo stile va ben oltre l’orientamento della moderna cucina giapponese, che pur introducendo altri aromi nel dashi lascia che sia il suo classico sapore a dominare. Anne-Sophie utilizza il dashi alla stregua di uno sfondo che introduce note ricche di sapore, per far emergere gli altri ingredienti. Un esempio perfetto è la sua creazione Le homard bleu rôti au feu de bois, dashi aux fruits rouges, légèrement fumé, chutney de fraises à l’épine-vinette, betterave plurielle. L’astice arrostito, leggermente affumicato con legno, è abbinato al dashi dal sapore dolciastro di fragola e lampone. Questo piatto è una sinfonia di sapori: la dolcezza dell’astice è esaltata dalla riduzione di frutti rossi e bilanciata dall’acidità e dal delicato umami del dashi. Il tutto è ulteriormente enfatizzato da un leggero sentore di affumicatura.
Attualmente, Anne-Sophie e il marito David Sinapian, che gestisce la parte commerciale dell’attività ad esclusione della cucina, hanno ampliato i loro orizzonti. Valence mantiene ovviamente il suo ruolo, ma le si sono affiancate le sedi di Losanna, Parigi, Londra e Singapore.
Anche se la sede di Valence resta immutata, non c’è più la sensazione che la famiglia l’abbia costruita su quelli che in passato erano dei negozi di antiquariato. Lavorando insieme, lei e suo marito hanno trasformato completamente l’atmosfera del relais, creando un’elegante sala da pranzo, affacciata sul giardino attraverso grandi finestre che vanno dal pavimento al soffitto; il che, nella raffinata tradizione giapponese, equivale a proiettare visivamente il giardino nella sala. Lo stile giapponese si ritrova in un grande dipinto su seta sulla parete opposta, raffigurante dei fiori di ciliegio. La Francia troneggia con i sontuosi calici di cristallo Baccarat a tulipano, disposti per ogni coperto.
Quando il tempo lo permette, iniziare il pasto in giardino è una vera delizia. Felci, bambù, piccoli stagni, una cascata d’acqua e dei ponticelli costeggiano oasi intime in cui godersi un aperitivo, mentre si studia il menù o la carta dei vini, cercando di non lasciarsi distrarre dall’incanto circostante. Una sfilata di golosi amuse-bouches attira l’attenzione. Quello che assomiglia a un lime in miniatura ha l’aria deliziosa. Lo si gusta in un solo boccone, perché esplode letteralmente in bocca, creando una cascata di yuzu, anice e caffè.
Quando suo nonno era ancora in vita, il momento del pasto era un vero e proprio spettacolo: i piatti venivano finiti di preparare su un carrello nella sala da pranzo. Recentemente, invece, Le tourteau de casier, assaisonné à l’huile de sobacha torréfié, petites fleurs du jardin, crème glacée à l’estragon et au géranium rosat ha dato vita ad uno spettacolo più contemporaneo. Il piatto era molto più di un granchio leggermente dolce con un sorbetto al dragoncello: era accompagnato da un cocktail che mescolava dragoncello, chartreuse, sakè, uno sciroppo di agrumi e un preparato di piselli e rosmarino. Come vuole la formula dettata da James Bond, il cocktail va agitato, non mescolato. Cocktail e granchio vanno gustati insieme, poiché l’uno completa l’altro.
La tomate plurielle, un composto di pomodorini multicolori dolci e molto maturi con brodo di salvia, zafferano e menta, dimostra non solo la sua devozione alla leggerezza, ma anche la sua bravura nell’esaltare un singolo ingrediente. I pomodori, pelati, trionfano in bocca: l’olio d’oliva, associato alla menta, e il brodo leggero danno vita a un contrasto intrigante.
I berlingots di Anne-Sophie sono un piatto emblematico. Un italiano potrebbe descriverli come dei ravioli a forma piramidale. La loro composizione varia notevolmente secondo il luogo in cui vengono serviti. A Valence la pasta è verde, formaggio Comté e prezzemolo vengono aggiunti al tradizionale impasto a base di farina e uovo. Il ripieno è composto da formaggio di capra Banon, crescione e un pizzico di zenzero. Le tre piramidi sono contornate da nuvolette spumeggianti di crescione e tè verde matcha. Diversamente da molti chef che in Francia hanno la tendenza a cuocere troppo la pasta, questo piatto incontrerebbe il gusto del più esigente degli italiani perché la cottura è imprescindibilmente al dente. È interessante notare che a Losanna i berlingots, pur avendo la stessa forma piramidale, sono radicalmente diversi. Adeguandosi alla regione, la pasta bianca avvolge un ripieno di fonduta di Vacherin Fribourgeois, Gruyère, vino bianco e Kirsch (la classica fonduta svizzera moitié-moitié). I berlingots sono accompagnati da funghi porcini arrostiti. Naturalmente, occorre un’abilità speciale per catturare la fonduta nella pasta. Era forse solida, la fonduta, prima di essere inserita nella pasta? In questo caso, la cottura al dente della pasta non sarebbe stata sufficiente per far sciogliere la fonduta. Era forse liquida? In questo caso, come poteva rimanere all’interno della pasta? La soluzione è ingegnosa. Occorre cuocere il ripieno e lasciarlo raffreddare in modo che si sciolga, ma senza diventare troppo liquido. Una vera astuzia, senza dubbio.
La cura che Anne-Sophie dedica ai dettagli emerge brillantemente nel piatto chiamato La langoustine marinée au miel de trèfles, sauge, fleurs de fenouil, verveine et criste marine, haricots fins verts et beurre. Non solo si rivela altamente selettiva nel proporre lo scampo d’acqua fredda proveniente dalla Scozia, per garantire massimo sapore e consistenza, ma insiste sul fatto che venga spedito vivo a Valence, dove dispone di diversi giorni per riprendersi dallo stress del trasporto nell’apposito contenitore. C’è un’affascinante sintesi di sapori nello scampo salino condito con miele di trifoglio, salvia, fiori di finocchietto e verbena. La base della salsa è un classico brodo di crostacei arricchito con un leggero tocco di dashi.
Le bar de ligne au caviar osciètre è un piatto importante nella storia della famiglia. Creato nel 1971 dal padre di Anne-Sophie, è stato decisivo per la conquista della terza stella Michelin, che arrivò due anni dopo. La spigola pescata a canna viene cotta a vapore fino a diventare traslucida, poi è condita generosamente con caviale dell’Aquitania. Per essere in armonia con il lusso del caviale, la salsa al burro è preparata con champagne Salon. Questo piatto è un glorioso omaggio alla cucina francese classica, che sa unire delicatezza e sapori intensi.
Le spezie esotiche occupano un posto importante nel repertorio dei Pic. Lo dimostra chiaramente Le Bœuf du Val d’Hérens, mariné à la baie des Minorités, tequila et tagette, jeunes poireaux et courgette. La carne di manzo, scottata e arrostita alla maniera tradizionale, viene prima marinata nella tagette, una varietà messicana di dragoncello, e poi, per restare in tema regionale, nella tequila. Non si tratta affatto di cucina “fusion” messicana, poiché i due componenti della marinatura servono semplicemente per aggiungere un tocco inatteso e intrigante alla ricchezza della carne.
I dessert sono l’emblema della creatività di Anne-Sophie, anche la tradizionalissima mille-feuille. Stando alla tradizione, una mille-feuille dovrebbe presentare due o tre strati di farcitura e una pasta sfoglia a base di burro. Dai Pic, Le mille-feuille blanc, crème légère à la vanille de Tahiti, fine gelée au jasmin, émulsion au poivre Voatsiperifery si rifà alla tradizione con la sua struttura a strati, ma è innovativa sotto ogni altro aspetto. Anne-Sophie ha reinventato la mille-feuille facendone un cubo bianco puro. L’esterno monocromatico è composto da una crema di yogurt, una gelatina di gelsomino e una mousse al latte con note di pepe. Mantenendo al minimo la presenza della pasta sfoglia al burro, la struttura a forma di cubo è realizzata con sottili strati di meringa con un tocco di limone.
Mentre la mille-feuille parte da una concezione classica completamente ammodernata, il suo Chocolat créé par Valrhona pour Anne-Sophie Pic comme un nid d’abeille, panna cotta au miel amer de Corse, crémeux et ganache au thé Hojicha Cubèbe è interamente originale. Sebbene il cioccolato Valrhona sia conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, si tratta di un prodotto locale che viene rifinito a Tournon, a meno di 20 km da Valence. Sul piatto, si crea un sottile strato di cioccolato in forma di nido d’ape, dove le celle sono riempite, in alternanza, con panna cotta al miele di fiori di corbezzolo, cioccolato fondente, ganache al cioccolato e caramello con infuso di tè.
Il successo riscosso da Anne-Sophie nel riportare il suo ristorante ai vertici della gastronomia francese, senza disporre del vantaggio di anni di formazione e apprendimento, è un fatto assolutamente eccezionale, ancora più notevole se si considera che in quello stesso periodo diventò madre. Naturalmente, l’importante per i suoi commensali è non tanto il modo con cui ha tenuto duro superando i molti ostacoli, quanto la straordinaria creatività e cura dei dettagli presente in ogni sua creazione.